20 aprile 2010

Kaspar Capparoni: in viaggio con Leroy


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Super sportivo, amante degli animali, Kaspar Capparoni ha alle spalle una lunga carriera teatrale e tantissimi ruoli in fiction amate, da "Elisa di Rivombrosa" e "Incantesimo" a "Capri" e "Donna Detective". Ma soprattutto è il compagno di scena del cane più amato della tv, il "Commissario Rex". Kaspar ha spesso organizzato manifestazioni benefiche a favore degli animali, contro l'abbandono dei cani e per il sostegno dei canili in Abruzzo dopo il terremoto. Ha cinque pastori svizzeri bianchi e undici cuccioli e li porta con sé anche in viaggio. Kaspar tornerà a breve sul piccolo schermo con la seconda serie di "Donna Detective", in coppia con Lucrezia Lante Della Rovere, su Rai 1 dal 21 aprile.


"Non ho un viaggio speciale da raccontare. Per me sono meravigliosi solo se riesco a portarmi dietro Leroy, uno dei miei cani. Purtroppo in Italia è molto difficile, non siamo ancora un paese civile sotto questo aspetto, è difficilissimo trovare un albergo che ospiti anche animali. Non come nel resto d'Europa, dove se entri in un ristorante con un cane ti offrono subito la ciotola per lui. Da noi è ancora una rarità e io mi batto affinchè gli animali vengano accettati ovunque. Sta poi al padrone far comportare il cucciolo bene. Il cane è un membro della famiglia a tutti gli effetti e non si può abbandonarlo in strada perchè non si può andare in vacanza con lui e metterlo in una pensione costerebbe troppo. Io e Leroy abbiamo fatto tanti viaggi insieme. Lui mi ha seguito in tutte le mie tournèe teatrali, conosce i palchi più importanti di tutta Italia. Mi segue pure nelle mie spedizioni sportive, io pratico molte attività, compreso l'alpinismo. E ho nel cuore un'immagine splendida di me e lui in alta montagna. Quando parto, non dimentico mai ciotole per l'acqua, vaschette per il bagno, scatolette: quasi quasi mi servirebbe un'altra macchina per trasportare tutto quello che occorre ai mie cani. Ma meglio loro di me".

Gaeta, una perla nel mare della Storia


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Sembra una nave protesa nel mare. E sono state proprio le acque limpide del Tirreno a darle fama di luogo di villeggiatura già dai tempi dei Romani: a Gaeta costruivano ville imperatori, consoli e ricche famiglie patrizie. Sono passati parecchi secoli, la cittadina laziale ha attraversato la storia sotto mille sfaccettature ed è rimasta un luogo preferito di vacanza, anche per le tante bellezze non solo naturalistiche del luogo, ma anche gastronomiche, spirituali e archeologiche. Con la protezione della "cordigliera" degli Aurunci, che la difende dai venti settentrionali, e con l'aiuto della brezza del mare, Gaeta regala atmosfere luminose e un clima mite. A soli ottanta chilometri da Napoli e centoventi da Roma, è meta amatissima per itinerari dai mille risvolti. Qui si può passeggiare tra storia e archeologia, assaggiare i cibi locali, a cominciare dalle famose olive, per finire con la tiella, una sorta di focaccia ripiena di verdure o pesciolini, adagiarsi nelle ampie spiagge limitrofe, scoprire le abbazie e le chiese dei dintorni.

La storia affonda le radici fino all'VIII Secolo a.C, ma fu solo nel 345 a.C. che Gaeta finì sotto l'influenza di Roma, diventando il posto preferito dove costruire le seconde case dell'epoca. Anzi, proprio per agevolare imperatori e consoli in vacanza sul golfo venne creata la Via Flacca, tuttora strada d'accesso per chi arriva dal litorale laziale. Dell'epoca romana restano molte vestigia, come il mausoleo che sorge alla sommità di Monte Orlando, dedicato a Lucio Munazio Planco, console, prefetto dell'Urbe e generale di Giulio Cesare (nonché fondatore di Augusta Raurica, oggi Basilea), con cui attraversò il fiume Rubicone. Passati i romani, Gaeta fu preda di saraceni e goti, divenne parte del regno di Federico II di Svevia, più volte ospite della città e che volle fortificare con le mura intorno al castello, già esistente. Ma soprattutto ebbe un ruolo chiave sia per il Regno delle Due Sicilie e sia per lo Stato Pontificio. Il nome di Gaeta è infatti passato alla Storia per Francesco II di Borbone che il 13 febbraio 1861 si arrese qui, nell'ultimo baluardo del suo regno, dando una spinta allo sviluppo dell'unità di Italia. Qualche anno prima, nel 1848, era stato papa Pio IX a rifugiarsi a Gaeta, in seguito alla proclamazione della Repubblica Romana da parte di Giuseppe Mazzini.

E fu proprio durante questo soggiorno che il Pontefice decise di proclamare il Dogma dell'Immacolata Concezione, appena tornato a Roma. Ad ispirarlo, pare fossero le preghiere che fece presso la Cappella d'Oro, o anche detta Grotta d'oro, nella chiesa della Sant'Annunziata, risalente al 1321. La stessa cappella dove, un secolo e passa dopo, si inginocchiò in preghiera papa Giovanni Paolo II. La chiesa è soltanto uno dei tanti punti storici della città, insieme al castello di Federico di Svevia. Da visitare sono anche il Duomo con il campanile in stile romanico-moresco del XII secolo, la pinacoteca comunale di arte contemporanea, il centro medievale con stradine, vicoletti, torri e scale, il Palazzo De Vio con il Museo Diocesano dove è conservato lo Stendardo di Lepanto, sventolato durante la famosa battaglia navale dalla flotta cristiana al comando dell'ammiraglio Marcantonio Colonna, partita proprio dal porto di Gaeta. Un salto al borgo marinaro e contadino di Porto Salvo non può mancare, con i vicoli che si snodano ortogonalmente a Via Indipendenza con una struttura a spina di pesce e la chiesa di San Francesco, dedicata al Santo che qui passò nel 1222. Con San Francesco e i papi ospiti, Gaeta è piena di luoghi intrisi di spiritualità.

In particolare c'è un itinerario religioso che inizia dal Santuario della Montagna Spaccata: nome legato a tre fenditure verticali che la leggenda vuole siano state prodotte dal terremoto verificatosi alla morte di Cristo, qui vennero in pellegrinaggio papi, vescovi e santi, come Bernardino da Siena, Ignazio di Loyola, San Filippo Neri che, secondo il mito dormì su un giaciglio in pietra, ancora conservato come il "Letto di San Filippo Neri". Da questo santuario sui passa a un altro: quello mariano della Madonna della Civita, per concludere l'itinerario con la visita all'abbazia cistercense di Fossanova. Un percorso tra luoghi di preghiera in sublime armonia e bellezza del territorio Sud-Pontino. Se poi si è stanchi di tanta cultura e storia, una pausa gastronomica è quel che ci vuole. Gaeta è famosa per i tanti prodotti del territorio, che unisce mare e colline. Numerose sono le pietanze ghiotte elaborate nel corso dei secoli: il primo documento sul quale è riportato la parola "pizza" è contenuto nel Codex Diplomaticus Caietanus, dell'anno 997. Fondamentale per le ricette è l'olio di Gaeta, che secondo una leggenda già conosciuta ai tempi di Enea e nel Medioevo, toccava i prezzi più alti dell'intero bacino del Mediterraneo.

Ovviamente non mancano le olive, la mozzarella di bufala, i pomodori e soprattutto, come si diceva, la tiella, vero e proprio cibo simbolo locale. Per smaltire le calorie, niente di meglio che un tuffo nel mare: le spiagge intorno a Gaeta sono tra le preferite per le vacanze e offrono ancora acque limpide. Ogni anno, poi, la seconda domenica di agosto, parte dalla chiesa degli Scalzi una tradizionale processione che porta la statua della Madonna di Porto Salvo, protettrice dei pescatori e dei naviganti, su una barca al centro del golfo dove si getta una corona di fiori in ricordo di tutte le vittime del mare. La natura però non è rappresentata solo dal mare. Ci sono molti luoghi che offrono panorami splendidi per gli appassionati di sport all'aria aperta: si può provare il brivido dell'arrampicata libera sul Monte Moneta, una delle mete più amate dai free climbers. Le pareti rocciose del monte, altro 359 metri, dominano la Piana di San Agostino con strampiombi rossi e ci sono ben nove settori che offrono possibilità di arrampicata. Se poi si è sfiniti da tanti itinerari specifici, sportivi, culturali o gastronomici, organizzati dalla Proloco, si può sempre ripiegare sui centri benessere che abbondano in zona.

Fiori e foche a Garnish Island


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GLENGARRIFF – Un'intera isoletta occupata da un giardino esotico. E' Garnish Island, o meglio come la chiamano i locali, "Illnacullin" o "Illaunacullin": una fiabesca oasi di tranquillità e verde, con un panorama mozzafiato, con un briciolo di storia e con tantissimi fiori di ogni genere. A maggio e giugno è spettacolare la fioritura dei rododendri, delle camelie e delle azalee, ma anche in primavera e in autunno i suoi viali sono suggestivi. Un angolo di paradiso come solo l'Irlanda, selvaggia e naturale,
sa offrire e come si può ammirare in "Una proposta per dire sì", divertente commedia con Amy Adams e Matthew Goode, nelle sale attualmente e girata quasi completamente tra le spettacolari vedute offerte dal Paese.

Già l'approdo a Garnish Island ha il suo fascino. Ci si arriva con traghetti che fanno la spola tra Glengarriff, nella baia di Bantry nella regione a ovest di Cork, che stanno ben attenti a non urtare gli scogli dove riposano serafiche e simpaticissime le foche, le vere regine di queste acque. I pinnipedi restano lì immobili, pronti a farsi fotografare dagli ospiti del parco, ma ben vigili e sono un'attrattiva in più di questo angolo di paradiso in Irlanda. Appena sbarcati al piccolo molo si viene colpiti subito dalla particolarità del luogo: un giardino esotico ricco di costruzioni particolari, tutto ordinato e perfetto, fa da contrasto alla natura circostante, al panorama della selvatica baia, alle coste selvagge e alle montagne brulle. Un impatto stupefacente, che rende l'atmosfera ancora più rilassante. L'isola, originariamente, era stata usata dall'esercito britannico per difendersi da un'eventuale invasione di Napoleone: la torre "Martello", ancora presente nei giardini, risale proprio a quel periodo e fu costruita con quello scopo. Oggi rimane il punto più alto di Garnish, da dove si può avere un'ampia visuale della baia. Nel 1910, l'isoletta fu trasformata in giardino esotico da Harold Peto su commissione di Annan Bryce, un imprenditore di Belfast. Così divenne la casa di centinaia di piante e alberi di ogni genere, ma anche di costruzioni di ispirazione neoclassica.

Ilnacullin è esteso 15 ettari e gode della corrente del Golfo, che permette la crescita e lo sviluppo di piante subtropicali: un microclima eccezionale arricchito dal terreno torboso della zona. A tarda primavera, come si diceva è il trionfo delle camelie, delle azalee e dei rododendri, mentre in autunno è l'erica a farla da padrone. Ma le fioriture, data la grande presenza di specie, sono continue e sempre da ammirare. Il primo impatto con Garnish Island è il giardino all'italiana, dominato da un tempietto con stagno artificiale pieno zeppo di ninfee bianche e rosse. Poi si continua su un percorso in stile giapponese, con una collezione di bonsai e con le rocce sistemate in maniera strategica. E poi ancora un corridoio di felci neozelandesi, un sentiero tra alberi mastodontici e un roseto. Ma probabilmente la parte più affascinante è un cortile ricchissimo di fiori, dai cardi viola alle peonie e ai fiori di campo gialli che attirano le api. Qui tutto sembra lasciato al caso, ma è solo un'illusione ottica: ogni cosa, ogni posizione, ogni arbusto è curatissimo. Appena usciti dal cortile allegramente caotico ci si trova davanti un immacolato prato all'inglese per la tea house. Ed è proprio questo gioco di contrasti, tra il disordine e la perfezione, tra il disegno e la costa selvaggia, la particolarità di Garnish Island.

Gran Canaria, sul bordo del grande mare


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LAS PALMAS – Da alcuni mesi le Isole Canarie sono più vicine all'Italia. La compagnia low cost irlandese Ryanair ha infatti aperto la tratta diretta Pisa-Las Palmas, capitale di Gran Canaria, la terza isola dell'arcipelago. Ora bastano quattro ore di volo per arrivare nel fantastico clima di queste isole spagnole, di fatto però in Africa. Situate nell'Oceano Atlantico, di fronte alle coste del Marocco (dai 200 ai 70 km di distanza), questa serie di isolette di origine vulcanica rappresenta l'ultimo lembo d'Europa prima del grande balzo verso le coste americane. Ben lo sapeva Cristoforo Colombo che ad ogni partenza per il suo viaggio atlantico ha fatto prima tappa in questo estremo punto di terra. Le sue ragioni saranno anche state dettate dal cuore, ma era ben conscio che poi da qui si affrontava il nulla del grande mare. Ma come dare torto al navigatore/esploratore genovese. Queste isole sono contrassegnate da un clima estremamente mite, la loro forza sta nell'avere un inverno piacevole (si riesce a fare il bagno oceanico) e un'estate mai torrida e soprattutto ventilata.

Delle sette isole ognuna ha una propria peculiarità: Fuerteventura ad esempio è il regno dei windsurf per il suo vento e le spiagge selvagge, Gran Canaria invece è il paradiso del turista con le sue ampie possibilità alberghiere e la vocazione tipicamente vacanziera. Ma non sempre è stato così: negli ultimi 40 anni le isole, e in particolare Gran Canaria, hanno subito una riconversione economica: dall'agricoltura (pomodori, frutta) al turismo. La popolazione ha così abbandonato le campagne, faticose e poco redditizie, per spostarsi sulla costa e dare impulso all'industria turistica. Certamente l'isola di Gran Canaria (una delle sette dell'arcipelago) offre opportunità di alloggio di livello. Numerosi hotel e resort soddisfano le esigenze di un pubblico di alto standing. Ovviamente la massima concentrazione è sulla costa, anche se l'interno offre affascinanti scenari di grande respiro. La caratteristica è quella dei grandi complessi alberghieri, di proprietà di famose catene internazionali (Melia, Riu etc.) con hotel da oltre 500 stanze (a Maspalomas, nel sud dell'isola, hanno recentemente inaugurato un resort da 2.600 posti, il più grande dell'arcipelago spagnolo).

Purtroppo la concentrazione di strutture ha portato anche un forte impatto ambientale con poca attenzione alla sostenibilità ed addirittura la creazione di spiagge artificiali di sabbia o di cemento. Esistono tuttavia piccole realtà alberghiere, alcune anche sulla costa, con una diversa concezione del turismo (es. la catena Hecansa). Curiosità: esiste un'ottima catena alberghiera, la Paradores, di proprietà dello Stato, gestita da privati. I paesaggi di Gran Canaria sono molto vari, una notevole (bio)diversità caratterizza l'isola. Se la costa, spesso alta e frastagliata, ovviamente offre scenari marittimi, l'interno è tutto diverso: si va dai deserti alle montagne nel giro di pochi chilometri passando per frutteti, banani soprattutto, e boschi con una grande varietà di piante. Affascinano, soprattutto nell'entroterra, i colori di quest'isola, spesso tutti concentrati nei banchi dei fruttivendoli, ma anche fiori e piante di cui è ricca Gran Canaria. L'isola è assolutamente da attraversare per scoprirla al meglio. L'entroterra è solcato da profondi canyon desertici, da crateri di vecchi vulcani ormai spenti e da stazioni montane con ampie possibilità di trekking soprattutto nella stagione "fredda" (si fa per dire).

La costa, a parte gli scempi di cui sopra, offre a sua volta scorci molto belli. Sicuramente da non mancare la visita alle dune di Maspalomas, quattro chilometri di spiaggia a dune (e anche belle alte) dividono la città dal mare. Spettacolare al tramonto. Per il resto la scelta dei luoghi è ampia ma il turismo a Gran Canaria deve essere un po' "randagio", fermarsi in un solo posto significa non approfondire i molteplici aspetti di quest'isola e privarsi del piacere della scoperta di angoli molto belli. A frequentarla soprattutto tedeschi e inglesi. Per gli italiani potrebbe essere dunque una scoperta, aiutati in questo forse anche dalla nuova tratta aerea diretta.

25 marzo 2010

Tra Zen e ciliegi a Taizo-in a Kyoto


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KYOTO - Ciliegi, iris e aceri, ma anche pietre, sassi e cascatelle. Il giardino giapponese è un'opera d'arte a sé stante. Unisce in uno stretto rapporto spiritualità, meditazione e natura e diventa un microcosmo fatto di vari elementi che creano una visione paradisiaca per gli occhi, l'olfatto e la mente. A Kyoto, poi, questa concezione Zen è verificabile in ogni angolo, strada o parco. Normalmente costruiti intorno a un tempio, i giardini della città esplodono di bellezza in ogni stagione, grazie a un attento disegno di forme e colori voluto dai giardinieri nipponici che rispettano il ritmo della natura. Come il Taizo-in. Tra fine marzo e inizio aprile c'è poi l'incanto del sakura, ovvero la fioritura dei ciliegi, che inonda viali e parchi cittadini. È il momento massimo della bellezza di Kyoto, antica capitale dell'impero per più di mille anni e nota anche come la città dei mille templi, che ha proprio come fiore simbolo quello del ciliegio. Qui a inizio primavera i petali bianchi rosati si impadroniscono di rami e alberi, insieme al rosa più forte dei pruni e a quello ricco di mille sfumature di camelie e azalee.

Il Taizo-in è situato accanto al Tempio Myoshin-ji e risale al 1337. Vanta un insieme di 47 templi decorati con dipinti della scuola Kano e molti oggetti d'arte: come la campana più antica del Giappone e il dragone dipinto sul soffitto di una delle strutture principali. Tra i templi minori aperti al pubblico vi sono il Keishun-in, noto per quattro giardini e per un albero del tè, e soprattutto Taizo-in, piccolo e delizioso. È composto da un giardino di passaggio di Kano Motonobu, famoso paesaggista del periodo Muromachi, nel Cinquecento, e da un giardino secco di Nakame Kinsaku, risalente al Novecento. Così si mettono in pratica due insegnamenti della scuola di archittettura giardiniera di Kyoto, il cuore della cultura Zen. Per giardino di paesaggio secco si intendono luoghi di meditazione accanto ai templi: sono formati da rocce scelte, senza particolare forma e collocate in un recinto di ghiaia rastrellata. Alle rocce, colui che medita può fornire l'interpretazione che desidera. Mentre per giardino di passaggio, popolari nel periodo Edo quando venivano commissionati dai signori feudali, si intende un giardino attraversato da sentieri sinuosi dove il paesaggio cambia ad ogni passo tra stagni, sentieri, sorprese e curiosità. È proprio questa parte del Taizo-in che è un trionfo della natura.

Si inizia attraversando lo stagno al centro del parco su uno dei tanti ponticelli: sulle rive a maggio esplodono gli iris e i giaggioli di ogni colore. Si continua tra sentieri tortuosi che si aprono improvvisamente in ampi spazi in un continuo gioco a nascondino tra i tronchi dei ciliegi e dei pruni in fiore. Si continua costeggiando la riva dello stagno, tra piante acquatiche e ninfee giganti, fino ad arrivare un padiglione sospeso sullo stagno da cui si ha una meravigliosa panoramica del giardino. Durante il periodo del sakura, questo lato del giardino viene illuminato per godere anche di sera dell'effetto dei ciliegi in fiore. Non solo primavera però, anche l'autunno è una stagione trionfale per il Taizo-in. Gli aceri lo tingono di toni caldi e dorati, in un tripudio di foglie rosse e gialle. In tutto questo si può vedere una delle curiosità del giardino: un bacino di pietra nascosto tra le rocce e la vegetazione. Qui l'acqua che filtra da una canna di bambù e gocciola sulle pietre, produce un suono magico e delicato, da percepire nel silenzio assoluto. Anche il giardino secco ha il suo fascino. Le rocce sono sistemate a formare un insieme che sembra un dipinto, arricchito da un elegante ponte di pietra. Lo spazio dedicato al 'moderno' in stile Zen è composto da tre piani di cascatelle che scorrono da una macchia di arbusti verdi e danno l'impressione di formare una grande cascata di montagna. Illusioni ottiche, rispetto per la natura e i suoi cicli, fiori e alberi sistemati in totale ordine anche cromatico: tutto questo porta il visitatore a restare in silenzio a contemplare il magico trionfo dell'ambiente sull'uomo.

Czech point Pilsen


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PILSEN - La birra certo, ma anche arte, tecnologia e tanta, tanta storia. Pilsen, nell'ovest della Repubblica Ceca è una città che offre un panorama completo di attrazioni pur nelle sue ridotte dimensioni, che ne esaltano lo stile di vita a misura d'uomo. Oggi la quarta città del Paese, con circa 175.000 abitanti, Pilsen fu fondata nel 1295 alla confluenza di quattro fiumi, (cioè dove il Radbuza, il Mže, l'Úslava e l'Úhlava formano il Berounka) dal re Vanceslao II di Boemia. Da allora ha visto passare eserciti e scorrere sangue sotto i suoi ponti. Le guerre di religione ceche, dette guerre hussite dal nome del riformatore rinascimentale Jan Hus, ne fecero il centro della resistenza cattolica locale. Durante la Guerra dei trent'anni, la sua posizione nel cuore dell'Europa causò inevitabilmente l'azione di ferro e fuoco sul suo territorio e così si susseguirono gli assedi dei protestanti, delle truppe imperiali e di quelle svedesi.

Nel secolo scorso, i nazisti entrarono a Pilsen nel 1939, mentre a differenza del resto del Paese, non furono le armate sovietiche a liberare la città alla fine della Seconda guerra mondiale, ma quelle americane del generale George Patton. Scopriamoli allora i tesori che Pilsen offre immutati anche nel Ventunesimo secolo. Quelli del passato soprattutto. Nel centro storico perfettamente conservato si può ammirare la Cattedrale di San Bartolomeo, monolitica costruzione gotica nel centro della piazza della Repubblica. La sua torre campanaria svetta a 102 metri dal suolo, la più alta del Paese. Su una cancellata all'esterno dell'abside la figura in metallo di un angelo è considerata un portafortuna dagli abitanti, che a forza di toccarla, l'hanno quasi consumata. A lato del duomo altri due tesori: la Colonna della peste, eretta nel 1681, opera dello scultore locale Kristian Widmann e il palazzo del municipio, disegnato dall'italiano Giovanni De Statio fra il 1554 e il 1559. E ancora, la Grande Sinagoga, la terza per dimensioni e importanza nel mondo dopo quelle di Gerusalemme e Budapest e la seconda in Europa, a testimonianza della comunità ebraica di Pilsen, fiorente fino all'inizio del secondo conflitto mondiale.

A Pilsen abbondano i musei che spaziano praticamente in ogni campo. Si va dal memorial dedicato alle truppe di liberazione americane e denominato, ancora una volta, Patton (a proposito, il generale dormì in città, insieme all'allora collega e successivamente presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower in quello che oggi è l'Hotel Continental) al Museo delle marionette, altra specialità locale. Il gusto un po' gotico - questa del resto è la città dei sotterranei misteriosi - si può assaporare anche al Muzeum Strašidel, dedicato ai mostri, alle fiabe, ai miti e alle leggende. Tutto in salsa locale. Con un profilo più classico la città presenta anche il Museo della Boemia occidentale, il Museo etnografico e due gallerie d'arte: la Zapadočeska e la Města Plzně. Ma anche la moderna tecnologia trova il suo spazio: precisamente al Techmania Science Center, ospitato all'interno dello stabilimento Škoda. Qui, con un occhio particolare alla didattica, installazioni interattive introducono al mondo della chimica e della fisica.

E poi i castelli, verie e proprie sentinelle del passato, raggiungibili con una gita fuori porta. Da vedere è soprattutto quello di Nebilovy (foto a destra), a 18 km verso sud est. Si tratta di un palazzotto in stile barocco in mezzo alla campagna costituito da due ali separate da un giardino interno. Sempre in zona anche il castello di Radyne che è invece una rovina ben conservata risalente al 1356. Da buon maniero medievale, sorge in cima a una collina e domina tutta la valle. Non lontano si trova anche la cosidetta Rotunda di San Pietro e Paolo, una costruzione circolare in pietra che è ciò che resta di una fortificazione del X Secolo. La particolarità è che si tratta della struttura più antica della Boemia occidentale. Quando poi gli abitanti di Pilsen sono stanchi di tutta questa offerta, non hanno che da andare a stendersi al sole lungo uno dei laghetti artificiali che circondano la città. Ce ne sono tutto intorno, immersi in un sistema di parchi con sentieri e piste ciclabili. Queste del resto rientrano nel circuito regionale dedicato alle due ruote, lungo ben 1.400 chilometri. Quasi tutti i laghetti hanno vere e proprie spiagge attrezzate lungo le rive e uno dei più belli è sicuramente il duplice lago Bolevec, a nord della città. Qui è stato anche attuato un progetto di miglioramento delle acque, finalista del Livcom 2008, la giuria internazionale per la vivibilità delle aree urbane.

Nello Yemen sulle onde dell'oceano Indiano


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SANA'A - Tanti sono i mezzi di trasporto che ci possono accompagnare in un viaggio: l’aereo, la macchina, il bus, la bicicletta e… il surf! Così imballata la nostra tavola in una scatola di cartone partiamo alla volta di Sana’a, capitale dello Yemen, per un viaggio che ci porterà dalla zona di Hawf, dove la costa oceanica dello Yemen cede il passo a quella dell’Oman, fino alla città di Mukalla. Usciti dall’aeroporto, la sensazione che si prova è di completo smarrimento, l’afa e l’umidità sembrano insopportabili; i nostri occhi europei vedono una cittadina caotica, polverosa, avvolta in una nebbia pesantissima. Incontriamo Khaled, la nostra guida, carichiamo i bagagli sul tetto della jeep, tiriamo un lungo respiro e partiamo.

Percorrendo non più di 20 km il paesaggio muta completamente, dal deserto più arido si passa alla montagna verde, la sensazione è quella di trovarsi in un posto unico. La lingua di asfalto scorre in una giungla verdissima e afosa, giriamo una collina, la nebbia si dirada, abbiamo il primo incontro con ciò che stiamo cercando: l’Oceano Indiano. Una stradina si insinua in un piccolo villaggio, sbuchiamo in un posto surreale, una spiaggia deserta, avvolta nella nebbia; proprio di fronte a noi capiamo che la lingua di terra è un minuscolo molo naturale che crea una piccola, ma lunga onda. Siamo stanchi, è tardi, non sarebbe un buon momento per entrare in acqua: gli squali sono una delle incognite che ci affligge fin dalla partenza, ma la voglia è irresistibile, lasciamo da parte ogni pensiero, ogni paura, sfiliamo le tavole ed entriamo. Il mattino seguente sono alcune voci a svegliarci, sono schiamazzi di un gruppo di ragazzini che stanno giocando a calcio vicino a noi, la voglia di rientrare in acqua si fa sentire, ma vogliamo esplorare e continuiamo scendere lungo la costa.

Il gusto per l’esplorazione ci spinge senza motivo su uno sterrato che ci conduce verso una spiaggia completamente deserta. Il mare è piatto, non c’è l’onda che cercavamo ma non importa! Il posto è da favola, ci fermiamo a respirare, a pensare, semplicemente a guardare. È in questa insenatura, a Ras Sharma, che durante la notte, veniamo svegliati da uno degli spettacoli più emozionanti che la natura possa offrirci: c’è la luna piena, la sabbia bianchissima a quest’ora, con questa luce, diventa di un blu profondo e frotte di tartarughe marine approdano sulla battigia perdendo la loro naturale agilità sottomarina, con movimenti lentissimi ma precisi, scavano enormi fosse e ripongono decine di uova, restiamo a bocca aperta. Giorno per giorno, ci rendiamo conto che in questa terra ogni posto è una scoperta, ogni situazione è unica; una semplice sosta per cercare dell’acqua potabile, diventa un pezzo di vita da tenere stretto, la nostra presenza è ovunque motivo di festa, il concetto di turista non esiste, siamo gli stranieri che vengono da un altro villaggio, la lingua è diversa, i vestiti anche, ci portiamo appresso due strani attrezzi, ma sorridiamo e questo basta a tutti.

Arriviamo a Mukalla, il primo vero contatto con una cittadina yemenita, la vita è frenetica, chiassosa, ma allo stesso tempo pacata e silenziosa. Il mercato del pesce ci rapisce: urla, contrattazioni, odori, il pesce più pregiato sui tavoli umidi e puzzolenti del mercato è lo squalo. Usciti dal mercato ci viene servito il pane più buono del mondo, preparato sul momento, il fuoco diventa rovente per scaldare il nostro cibo, non possiamo desiderare di meglio. Per un momento abbiamo la sensazione di rallentare, di percepire lo spirito intimo di questo posto. Uno dei Paesi più armati al mondo, paese nativo della famiglia Bin Laden, simbolo del fondamentalismo islamico, per noi non è stata altro che una terra di scoperta, di onde e di sorrisi. Armi ne abbiamo viste molte ma abbiamo deciso di non raccontarle, non per nasconderle o far finta di nulla, ma perché sono un’icona sbagliata, fuorviante per l’occhio occidentale; abbiamo voluto scoprire l’altra faccia dello Yemen, la faccia nascosta quella che per noi è quella di maggior valore.